domenica 10 novembre 2013



LOMBARDO RADICE

La prospettiva pedagogica del neoidealismo italiano

Aldo Agazzi: La «rivoluzione» didattica di G. Lombardo Radice

Con i Programi del 1923 fanno «irruzione» nella scuola elementare i contributi di profonda innovazione offerti da G. Lombardo Radice i quali consentono alla scuola di lasciarsi alle spalle il positivismo e di incamminarsi sulle strade dell’attivismo pedagogico. La fondazione teoretica, di ispirazione idealistica, è quella gentiliana; ma le indicazioni e l’intero impianto metodologico-didattico
sono quelle che Lombardo Radice ha costruito con le sue Lezioni di didattica. Fondamentale è l’opera
di Lombardo Radice che rifiuta la identificazione di pedagogia e filosofia, e dunque «salva» la pedagogia da morte certa; è fondamentale perché «salva» il rapporto didattico (il rapporto di maestroscolaro) dalla astrattezza di una mistificante loro «unità». Di rilievo, da ultimo, il contributo offerto in direzione di una pedagogia popolare, attenta al popolo ed ai suoi bisogni educativi.

Giuseppe Lombardo Radice irruppe, per così dire, nella pedagogia e nella didattica della scuola italiana,
per effetto della riforma Gentile del 1923. La pedagogia del nostro neo-idealismo, infatti, per quanto
elaborata in opere uscite già da un decennio – Sommario di pedagogia come scienza filosofica di G.
Gentile e Lezioni di didattica del Lombardo Radice, cui si aggiungerà, a successiva fondazione teoretica
con non pochi spunti personali, L’ideale educativo – non aveva ancora scosso la tradizione consuetudinaria delle idee pedagogiche e dell’attività scolastica di osservanza positivista, né erano ancora cominciate, da un lato, le reazioni all’attualismo educativo e, dall’altro, le tumultuose adesioni dei neofiti. Fu, così, con la riforma del ’23, e per effetto di essa, che si mise come esplosivamente in moto quel processo di rinnovamento di cui fu autore appunto il Lombardo Radice, e che trova il suo luogo più
vistoso, più fecondo e più proprio, quasi esclusivamente nell’ambito della scuola elementare (mentre a
reggere il nuovo corso pedagogico della filosofia dell’educazione in sede teoretica resta il Gentile).

E l’ambito della rivoluzione didattica fu quello della scuola primaria non a caso: innanzi tutto perché la
riforma Gentile chiudeva le porte dell’università, dove si preparavano gli insegnanti di scuole medie, alla
pedagogia, alla psicologia, ai tirocini; perché la pedagogia gentiliana faceva coincidere sapere e saper insegnare riconducendo anche la didattica alla sola preparazione scientifico-culturale; e, infine, perché proprio il Lombardo Radice, dando alla scuola elementare, sia pure con applicabilità ed estensibilità a qualunque grado della scolarità, le Lezioni di didattica, con il loro fervore innovativo, la loro accessibilità e suggestività, le loro giustificazioni persuasive, salvava la scuola elementare dall’esilio pedagogico, tenendo nel contempo aperto a tutta la restante problematica pedagogica il discorso valido
della nuova visione educativa.

Quest’opera tanto fortunata non presenta, tuttavia, soltanto un salvataggio sul piano storico ed empirico
della scuola vissuta, dovuto ad un pedagogista di razza e di ispirazione: essa veniva anche a sciogliere sul
piano teoretico e scientifico alcuni degli equivoci più intrinseci, più insiti alla pedagogia neo-idealista, sia
in Gentile, sia poi, e più nei seguaci, negli epigoni e nei tanto numerosi facili divulgatori: vale a dire che,
all’idealismo, fossero necessariamente connesse la morte dell’educazione intesa come «rapporto», in forza del principio dell’immanenza; la fine della pedagogia come riflessione specifica, in forza della coincidenza fra divenire dello spirito e sviluppo del soggetto, e per ciò stesso della didattica come attività propria dell’educazione.

Le Lezioni di didattica e L’ideale educativo, con il loro concetto centrale di «autoeducazione», riconducevano, in effetti, il rapporto educativo a processo educativo nello scolaro – e questo «processo» riconducevano poi ad atti educativi concretamente e tecnicamente determinati. Queste caratteristiche riconnettevano di pieno diritto il pensiero del Lombardo Radice al movimento mondiale delle scuole nuove, che tanto contribuì egli stesso a far noto e operante in Italia, concorrendo a sprovincializzarlo da
angustie culturali e da mediocre pedagogismo.

Nello stesso tempo, le sue «inchieste a distanza», le sue esplorazioni nel campo delle scuole in atto e dell’opera dei maestri più creativi e geniali – di cui erano espressione le relazioni de «L’Educazione nazionale» – inducevano nella sua attività di teorico quella nota dell’esperienza e dello «esperienziato» – anche se non ancora dell’esperimento e dello «sperimentale» – che ha consentito alle sue ispirazioni educative di sopravvivere feconde anche all’insorgere di nuove suggestioni metodologiche e di costituire comunque una letteratura pedagogica di primario valore.

L’entusiasmo, il calore della sua anima, la fede nell’ideale, il senso religioso della vita, il senso e l’amore del popolo e dell’umanità, l’invitta fedeltà ai valori della dignità umana, della libertà, del bene, infine, mantennero a Giuseppe Lombardo Radice l’ammirazione e l’affetto degli uomini di scuola, anche quando il fascismo lo licenziò (o meglio egli se ne licenziò) e, pur senza una vera persecuzione di violenza, lo proponeva in modo da consentire, ad esempio, che, nella rubrica intitolata «Teste da spaccare» – che ricorreva nel giornale sindacale dei tipografi: «Il torchio» – venisse un giorno incluso
anche il suo nome.

In conclusione: un giustificatore del neo-idealismo in senso autenticamente pedagogico; l’elaboratore e l’animatore del maggior contributo italiano al movimento delle scuole nuove; il rinnovatore in chiarezza e passione educativa della nostra scuola.

Il Lombardo Radice delle tradizioni popolari, del folklore, della poesia e della «saggezza» sapienziale della gente povera ed incolta – o piuttosto non dotta – è stato, e rimane, un pedagogista della educazione popolare, nel senso democratico, sociale, attuale, d’un’educazione fatta emergere dalle culture e dalle subculture, di un’educazione secondo l’antropologia culturale, colta nelle sue particolarità e, insieme, nelle esigenze universali e di universali valori, di sapere e di moralità, di religiosità manzonianamente intesa, come si esprimeva egli stesso, impegnata nelle opere dell’amore e della giustizia: una universalità, cioè, non amorfa, illuministica, astratta come un concetto logico, ma vista come umanità storica ed esistenziale fondata nella razionalità e nell’ideale, del quale i grandi costituivano, per lui, la «milizia».

(A. Agazzi, in «Riforma della Scuola», n. 8-9, agosto-settembre 1968, numero monografico dedicato a Giuseppe Lombardo Radice)



 Mauro Laeng: Il significato storico della pedagogia di G. Lombardo Radice

Questa la tesi di M. Laeng: innovatore come pochi altri nell’epoca che lo ha visto nascere, il pensiero di Lombardo Radice sembra esposto al logorio del tempo. Pensiero ricco di elementi di novità, perché riuscì a recuperare la concretezza dell’educare all’interno di una cultura, quella idealistica, vittima di una pericolosa astrattezza; pensiero esposto al rischio del logorio del tempo, perché il recupero della concretezza avvenne in Lombardo Radice attraverso il richiamo alla cultura popolare, al dialetto, al
folklore, alla cultura popolare e dell’ambiente natio: tutte realtà coinvolte da una crisi che pare irreversibile sotto le pressioni della civiltà contemporanea.
Una valutazione che, oggi, sembra meritevole di venire criticamente riconsiderata. Perché la contemporaneità, con le sue logiche tecnologiche e la massificazione della comunicazione e dei modelli culturali di riferimento, sembra prestare una rinnovata attenzione alla cultura «locale» e alle sue «radici popolari». Un ritorno da apprezzare, se sa resistere ai limiti del localismo.


La collocazione storica del pensiero e dell’opera di Giuseppe Lombardo Radice trova il suo punto d’incidenza nel fervore del primo dopoguerra. È un periodo difficile della storia nazionale, in cui le illusioni-delusioni della guerra e le difficoltà della ricostruzione e riconversione alimentano molti revirements pseudospiritualistici e pseudoidealistici, ove il loglio abbondantemente si mescola al grano.

Ed è qui che spicca una delle sue prime caratteristiche, la profonda onestà morale e probità intellettuale, il suo impegno autentico di pensiero: al coro dei dannunziani e dei gentiliani di maniera egli oppone un suo ripensamento dei valori nazionali e spirituali molto più serio.

 La riprova sta nell’assenza di formule e di retorica nei suoi scritti, alieni per gusto e stile dai luoghi comuni; ci sono, è vero, delle costanti, che coincidono coi passaggi obbligati della ricerca logica e della coscienza morale, ma sono ogni volta riconquistate dall’interno del discorso e non puramente presupposte.

Ciò conduce ad accennare la questione dell’originalità del suo pensiero. Accanto ad un Gentile era facile brillar di luce riflessa o rimaner del tutto sfocati; ebbene, la favola di un Giuseppe Lombardo Radice «applicatore» della filosofia gentiliana alla pedagogia, se mai fu accreditata a livello manualistico, dev’essere energicamente smentita, come impropria ad entrambi. Da ben altre «applicazioni», politiche, sarebbe stato travolto il Gentile. Nel campo della pedagogia Giuseppe Lombardo Radice, come per altro
verso Ernesto Codignola negli stessi anni, vennero alla riflessione dall’esperienza e dalla vita educativa e
culturale senza imposizioni di comodo.

La collocazione storica di Giuseppe Lombardo Radice ha pure un rilevante significato nel quadro della pedagogia europea, negli anni in cui il movimento delle «scuole nuove», affermatosi sporadicamente tra il 1890 e il 1920, si apprestava a divenire impetuosamente la punta avanzata di tutta la nuova pedagogia.

Qualcuno ha detto del Lombardo Radice che era il «Ferriere italiano»: nonostante quel che v’è di improponibile in simili paragoni, è certo che egli doveva svolgere nel nostro paese, oltre a tutto il resto, anche una attività di reperimento, informazione, promozione simile a quella svolta dal collega svizzero.

Meno avvenirista, più cauto e misurato, egli ha però rivelato al mondo esperienze di scuola esemplari: per
cui Cena e Socciarelli, la Maltoni e la Boschetti sono usciti dal breve giro della cultura locale per entrare in più ampio circuito. È certo che la forte impronta unitaria dei Programmi elementari del 1923 si giovò anche di questo commento vivo, che usciva da alcune tra le più umili scuole del paese: l’aver saputo comporre questi svariati motivi in una corrente d’opinione che doveva divenire un «bene comune» della scuola italiana fu pure suo merito.
L’attualità di Giuseppe Lombardo Radice sembra temere qualche usura dal mezzo secolo trascorso dopo la sua opera più fortunata. In un periodo di intensa mobilità sociale verticale e orizzontale, di migrazioni interne, di rimescolamento delle caratteristiche etniche e regionali, di riduzione o scomparsa del dialetto e del folklore, pare che la «carità del natio loco» si vada stemperando ormai in una nostalgia lontana. 

La nuova koiné linguistica e culturale introdotta dai mezzi di comunicazione di massa adegua e livella tutti
gli italiani: solo nelle isole e nelle zone allogene resistono più a lungo certi tratti. Il tesoro della cultura popolare affidato alla tradizione, su cui tanto aveva insistito il Lombardo Radice, par destinato ad esser dimenticato.

In questo processo c’è qualcosa di irreversibile: e quanto più cresce l’interdipendenza e l’integrazione sociale, non è certo movimento da contrastare, ma piuttosto da favorire. Impostazioni simili anche all’estero, dallo Hessen e dallo Spranger al Devaud, stanno arrendendosi all’onda montante dei fatti. Oltre la Heimat del focolare e del campanile, oltre la vocation paysanne (da noi si diceva rurale) premono con nuova urgenza i problemi mondiali, con urgenze di solidarietà un tempo insospettate, con sollecitazioni di rinnova-menti ormai ineludibili.

(M. Laeng, in «Riforma della suola», cit. )